Lettere al padre. Il gioco dei bei ricordi

Il 23 gennaio 2020 è uscita per Morellini Editore l’antologia „Lettere al padre„, seguito della fortunata raccolta epistolare „Lettere alla madre“ (2018).
Venti tra autrici e autori si confrontano con il proprio padre, e regalano un affresco a più dimensioni di un rapporto che ha subito grandi trasformazioni nel corso dei secoli, e che per sua natura è fatto più di assenza che di presenza, più di distanza che di simbiosi. Tra padri dediti e “innamorati” e altri distanti e irraggiungibili, tra carezze che ancora scaldano e sguardi che ancora gelano si ripercorrono ricordi e spaccati generazionali.“

 

Il mio racconto si chiama „Il gioco dei bei ricordi“ e qui  potete ascoltare un estratto:

Trascrizione:

Mi sono domandata spesso, negli anni, com’è che le nostre strade, a un certo punto, si sono incontrate, papà. Perché proprio tu. Perché proprio io. È buffo un pensiero così, tra padri e figli. Eppure è quello che è successo a noi. È quello che succede sempre, tra genitori e figli adottivi. Una serie di circostanze misteriose si attiva per unire due estranei che hanno bisogni complementari, dei vuoti da riempire.

Il mio arrivo a casa è stato inaugurato dal tanfo di sigaretta di cui eri avido consumatore e a cui poi, anche dopo la mia presenza, non hai mai rinunciato, fino a quando proprio il fumo ti ha portato via.

(…) Avevi cominciato a fumare che eri poco più di un bambino, la stessa età in cui hai iniziato a lavorare. Erano altri tempi, hai ricevuto un’educazione rustica, tuo padre ti trascinava per le orecchie, ti picchiava con la cinghia, e a te piaceva minacciarmi di fare lo stesso con me quando ti facevo arrabbiare. Bastava che tu mimassi il gesto di slacciare la fibbia della cintura per farmi saltare il cuore in gola. Eri di quella generazione in cui l’uomo sta sempre fuori casa, si spacca la schiena di lavoro e quando torna vuole meritato silenzio altrimenti sono guai.

Crescendo, cercando di (…) sopravvivere alla mancanza di te (…) è nata una specie di gioco interiore: il gioco dei bei ricordi. (…)

Sono pochissimi, i nostri bei ricordi. Si possono contare sulle dita delle mani: quando al mare, a Marina di Massa, mi hai lanciato in aria facendomi fare tuffi altissimi e mi hai dato suggerimenti per stare a galla e nuotare. Quando una volta, passando da Modena, ti sei fermato in azienda a salutare i colleghi e mi hai portato con te a fare il giro degli uffici; erano entusiasti di vederti (…) Mi sono sentita orgogliosa di essere tua figlia e ho visto un lato di te che in casa non mostravi. Quando per il mio decimo compleanno mi avete regalato la mountain bike, siamo scesi giù in cortile e mi hai insegnato a usare i cambi. Un ciclista di passaggio ci ha fatto i complimenti. Eravamo un’immagine tenera ai suoi occhi e questo mi ha dato speranza. (…)

Ma in testa alla classifica rimarrà sempre la volta in cui siamo entrati in quella ferramenta e la negoziante, osservandoci, ha esclamato: «Ma come vi assomigliate! Siete proprio due gocce d’acqua!». Ci siamo guardati negli occhi e siamo esplosi in una risata gloriosa. Io ero alta, scura, con le sopracciglia folte, la bocca e il naso grandi, tu eri già all’epoca più basso di me (…), con i lineamenti fini e gli occhi verdi. Una scena esilarante e indimenticabile. (…)